
Bielorussia

Ad agosto del 2020, i bielorussi sono scesi in strada per protestare contro i risultati di un’elezione presidenziale falsata. Le proteste sono presto diventate le più estese della storia del paese e sono state alla fine soppresse in modo violento, con migliaia di persone arrestate, percosse e perseguite. Vaste campagne di disinformazione continuano a permettere e a sostenere la brutalità del regime di Aljaksandr Lukašėnka contro i suoi stessi cittadini, i media indipendenti e la società civile.
I media bielorussi controllati dallo stato sono stati complici della brutale repressione del dissenso nel paese. Le “confessioni” forzate dei prigionieri politici trasmesse in televisione sono solo uno dei tanti esempi che dimostrano come i media controllati dallo Stato siano diventati un’estensione dell’apparato repressivo dello Stato stesso in Bielorussia. Abbiamo anche osservato come i media bielorussi controllati dallo Stato abbiano aiutato i funzionari bielorussi a strumentalizzare la migrazione nell’UE. Inoltre, il regime di Lukashenka e il suo apparato mediatico sono stati determinanti nel sostenere l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Le autorità bielorusse hanno represso anche i social media dichiarando, ad esempio, molti popolari canali Telegram indipendenti come “materiale estremista”.
Nel frattempo, i media pro-Cremlino continuano a sostenere e a promuovere le campagne di disinformazione in Bielorussia e nei territori vicini, accusando in maniera falsa l’Occidente di aver architettato una “rivoluzione colorata”, affermando che l’opposizione democratica bielorussa sia un “burattino dell’Occidente” ed etichettando i sostenitori delle democrazia come “zmagar”, estremisti, terroristi e seguaci del nazismo.
La Task Force East Stratcom ha osservato attentamente i media e il panorama di disinformazione in Bielorussia. Di seguito la nostra raccolta di articoli sulla disinformazione e sulla manipolazione dell’informazione che ha come obiettivo la Bielorussia democratica, esercitata sia dagli ecosistemi di Lukashenka che da quelli di Putin.


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